Francesco Acquaroli riconfermato Presidente della Regione Marche: il fattore "incumbency advantage".

Ancona - Riflessioni sulla narrazione dei due candidati durante la loro campagna elettorale.

I risultati delle elezioni regionali delle Marche hanno premiato, dopo la tornata elettorale del 28-29 settembre, il Presidente uscente Francesco Acquaroli, con una percentuale del 52,48% rispetto allo sfidante Matteo Ricci che si è fermato al 44.41%.

In questo articolo non ci dilungheremo in considerazioni politiche, sebbene questo “3-3” sul piano delle elezioni, con sinistra e destra che confermano le regioni precedentemente acquisite, sposti subito l’attenzione al referendum popolare sulla giustizia, che probabilmente si terrà nel 2026. Analizzeremo piuttosto la comunicazione dei due candidati, prendendo ad esempio il comizio di Francesco Acquaroli ad Ascoli Piceno, l’8 settembre 2025 e due contributi di Matteo Ricci, uno a Fermo e l’altro di chiusura comizio ad Ancona, rispettivamente il 10 e 11 settembre 2025. Non è stato analizzato il duello su SkyTg24 proprio per concentrarsi solo sui contenuti e non sulla “resa televisiva” dei due candidati.

Uscente e sfidante, “pari non sono”
Il confronto tra il comizio di Francesco Acquaroli ad Ascoli Piceno e i due interventi di Matteo Ricci, a Fermo e nella chiusura di Ancona, rivela non soltanto due linguaggi politici diversi, ma anche due condizioni di partenza profondamente asimmetriche.

C’è molta letteratura a sostegno del fatto che il presidente uscente e lo sfidante non siano sullo stesso piano. Druckman–Kifer–Parkin* analizzano nel loro studio “Campaign Rhetoric and the Incumbency Advantage” come la retorica di campagna sia un canale chiave dell’incumbency: l’uscente può enfatizzare familiarità, benefici al distretto, esperienza: i temi, dunque, non possono essere gli stessi. Un’indagine del CEPR**, “Incumbents have the upper hand in elections – coordination failures give them a further advantage” spiega, anche se il caso si riferisce alla Francia, che, anche in sistemi competitivi, chi è già in carica gode di un vantaggio strutturato, non solo per risorse materiali, ma anche per la percezione che gli elettori hanno di “chi ha già fatto qualcosa”. Le “coordination failures” (frammentazioni, divisioni dell’opposizione) acuiscono questo vantaggio, anche se nel caso di Ricci queste frammentazioni erano state ricomposte positivamente.

Due visioni a confronto: la continuità di Acquaroli e la mobilitazione di Ricci
Francesco Acquaroli, presidente uscente, partiva dunque da una posizione di vantaggio narrativo. Aveva la possibilità di rivendicare risultati concreti, certificati da numeri e da fonti autorevoli, e di inscrivere la sua candidatura in una traiettoria di continuità.
Il suo discorso di Ascoli Piceno è costruito con una struttura lineare: richiamo al contesto del 2020, elenco delle criticità ereditate e rivendicazione dei successi ottenuti in cinque anni. Con questa impostazione, Acquaroli rivendica un bilancio positivo: occupazione in crescita, startup innovative, fondi europei ben utilizzati, riforma sanitaria, infrastrutture sbloccate, ricostruzione post-sisma avviata. Il lessico è tecnico e istituzionale, il tono è rassicurante e manageriale. La forza della sua narrazione sta proprio nel ruolo che occupa: può presentarsi come l’uomo che ha governato bene e che deve solo essere confermato per consolidare i progressi già avviati.

Matteo Ricci, al contrario, si trovava nella condizione opposta. Da sfidante non poteva rivendicare risultati diretti, se non quelli legati alla sua esperienza di sindaco o di europarlamentare, che però non hanno un impatto immediato sull’elettorato regionale. Inoltre, l’handicap narrativo per il centrosinistra era evidente: i cinque anni precedenti alla vittoria del centrodestra nel 2020 non erano ricordati come anni di risultati eclatanti, al punto che i marchigiani decisero allora di voltare pagina: lo dice persino lui a Fermo, “se questi qui cinque anni fa sono stati votati, qualche errore l’avremo di certo fatto”. Questo limita la possibilità di Ricci di richiamarsi a un’eredità positiva e lo costringe a giocare sul terreno della promessa e della critica. Non potendo esibire un bilancio da presidente, deve ricorrere a un linguaggio diverso: più narrativo, più simbolico, più empatico: infatti, lui correttamente inventa un brand per il suo tour regionale, i “comizi d’amore”.

La semantica dei numeri contro la semantica delle immagini
A Fermo, Ricci richiama Pasolini e mostra la sua valigia-icona, tirando fuori da lì oggetti-simbolo come la valigia e la lampada da minatore per costruire un racconto biografico che tocchi corde identitarie. Parte dalle radici familiari e migratorie per arrivare alla denuncia della sanità regionale, delle liste d’attesa e della povertà crescente. Non offre un consuntivo, ma una visione, un progetto alternativo per le Marche: trasporti scolastici gratuiti, salario minimo regionale, turismo e cultura come motori di sviluppo, peccato per la frecciatina alla destra (“diciamo la verità, a quelli là la cultura non solo non interessa, fa anche un po’ schifo”). Naturalmente, cerca di smontare i risultati del suo avversario: “nessuna delle opere di cui parlano sono state avviate da loro”, “ho raccolto più fondi io per la mia città (Ricci è stato sindaco di Pesaro, ndr) che loro in cinque anni per l’intera regione”, ma ovviamente questo discorso può far presa più sul suo elettorato che sugli indecisi.

Ad Ancona, Ricci stringe il discorso su cinque proposte concrete per le aree interne e lo conclude con una metafora sportiva tratta da Ogni maledetta domenica, trasformando il voto in una questione di centimetri e chiamando i cittadini a mobilitarsi attivamente.

Se Acquaroli incarna la stabilità di chi ha già governato e porta prove a sostegno, Ricci deve incarnare la passione dello sfidante che chiede fiducia per cambiare. È la differenza, dal punto di vista della comunicazione politica, tra la semantica dei numeri e la semantica delle immagini, tra il discorso di chi invita a “continuare insieme” e quello di chi esorta a “voltare pagina”. In ogni caso, come accade dal 1994, quando a portare una ventata di novità fu Forza Italia, non è il linguaggio comune ad appiattirsi su quello politico (tra l’altro, “appiattirsi” indica un’accezione negativa del fenomeno del tutto ingiustificata) ma è il linguaggio politico che tenta di intercettare (verbo molto più adatto) quello popolare.

In questo senso, nella narrazione la posizione di vantaggio del presidente uscente è evidente: quando ci sono dei risultati, la normale ritrosia al cambiamento s’ingigantisce, la continuità è di per sé una promessa rassicurante, soprattutto quando supportata da dati che possono essere mostrati come risultati concreti.

Lo sfidante, invece, non può che scommettere sulla mobilitazione, sull’energia popolare, sull’empatia e sul desiderio di cambiamento. Il centrosinistra, del resto, non può richiamarsi a un quinquennio precedente di successi riconosciuti: la mancata riconferma del 2020 pesa ancora, e costringe Ricci a cercare nella narrazione simbolica e nella partecipazione emotiva le leve per scardinare lo status quo.

Acquaroli aveva molte probabilità di essere riconfermato

 In sintesi, al presidente uscente toccava il compito di una ricostruzione materiale di quanto fatto:  servizi avviati, infrastrutture, rendiconti. Acquaroli, potendo citare fatti, dati, strutture già operative, aveva un vantaggio nel costruire una narrazione di “continuità” e “sicurezza”.

 

Lo sfidante (Ricci) aveva un compito più difficile: deve convincere gli elettori che il cambiamento è credibile, pur non avendo lo stesso patrimonio narrativo fatto di risultati amministrativi regionali direttamente attribuibili e facendo infatti spesso riferimento ad altre esperienze positive ascrivibili a regioni del centrosinistra, Emilia-Romagna e Campania in primis.

 

Le strategie retoriche di Ricci tendevano a essere quindi più simboliche, evocative, mirate a suscitare emozione, speranza, disillusione rispetto allo status quo, come quando “sventola” il modulo di prenotazione al Cup, ricordando che “in cinque anni le cose sono peggiorate.  Questo è esattamente quello che Ricci sembra aver fatto nei comizi di Fermo e Ancona: uso di metafore, richiami identitari, proposte concrete, ma con meno “prove” già realizzate da mostrare, se non esterne alla regione Marche.

 

Anche l’agenda tematica giocava un ruolo importante: il presidente uscente poteva orientare il dibattito su temi che lo mettevano in luce — per esempio infrastrutture realizzate, sanità migliorata, oppure opere pubbliche già avviate, personalizzandole in base ai luoghi in cui svolgeva i comizi — mentre lo sfidante era relegato a sollevare temi ripetitivi che evidenziavano mancanze (vere o presunte poco importa, in questa riflessione) promesse future, cambiamenti.

 

Alla fine, è accaduto quel che era più probabile che succedesse. Prendendo a riferimento i sindaci nei grandi comuni italiani  YouTrend in una sua indagine calcola che in 3 casi su 4 (≈75%) il sindaco che si ripresenta viene rieletto; la quota è scesa nel tempo ma resta alta (e supera l’80% quando il primo mandato era stato vinto al primo turno). È un dato molto utile per illustrare il vantaggio dell’uscente nel contesto italiano. Per i presidenti di regione, Openpolis mostra che molti governatori sono al secondo mandato (nel 2023 erano 7), segno di una riconferma frequente a livello regionale. L’ultimo ciclo elettorale infine, ce lo dice Sky TG24, ha visto diverse riconferme (Abruzzo/Marsilio, Basilicata/Bardi, Piemonte/Cirio, Liguria/Bucci), sottolineando empiricamente il vantaggio dell’uscente. 

*“Campaign Rhetoric and the Incumbency Advantage” di James N. Druckman, Martin J. Kifer, Michael Parkin 
** “Incumbents have the upper hand in elections – coordination failures give them a further advantage” (CEPR, 2023) CEPR



di Roberto Valeri

29/09/2025

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