Dentro la mente di Dalí: a Vieste il surrealismo si fa esperienza interiore

Vieste - A Vieste, "Arte e Psiche", fino al 31 agosto.

Un orologio che si scioglie direttamente dalla “Danza del Tempo III”, un elefante su zampe d’insetto, una lumaca appoggiata a un volto d’angelo. Basta una sola di queste immagini per evocare il mondo visionario di Salvador Dalí. Ma per comprenderlo davvero, occorre entrarci dentro. È quello che consente di fare “Nella mente del Maestro – Salvador Dalí tra arte e psiche”, la mostra ospitata a Vieste, nella suggestiva cornice dell’ex Convento di San Francesco, oggi Community Library.

Dalí non si osserva, si attraversa. E l’esposizione, aperta fino al 31 agosto, offre ai visitatori proprio questa possibilità: un’immersione profonda e perturbante nell’universo onirico di uno dei più grandi maestri del Novecento. Le oltre settanta opere in mostra – tra sculture, acquerelli, litografie, acqueforti e oggetti rari – provengono dalla collezione Dalí Universee compongono un percorso che oscilla tra arte e inconscio, tra simbolo e distorsione, tra sogno e disvelamento.

Dalí e il surrealismo
Per capire la portata di questa mostra, bisogna tornare alle radici del surrealismo, movimento artistico e letterario nato a Parigi negli anni Venti sotto la guida di André Breton. In opposizione alla razionalità e al realismo, i surrealisti cercavano di liberare la mente dalle convenzioni borghesi, di dar voce all’inconscio, ai sogni, all’automatismo psichico. Salvador Dalí ne fu la figura più eccentrica e al tempo stesso più popolare. A differenza di molti suoi compagni di strada, che scelsero l’astratto o il simbolico, Dalí rese visibile l’invisibile con uno stile iperrealista, meticoloso, quasi maniacale.

Anche l’Italia, seppur in modo più laterale e frammentato, partecipò a questa corrente internazionale. Figure come Alberto Savinio, fratello di Giorgio de Chirico, integrarono suggestioni surrealiste nei propri linguaggi simbolici e letterari. Artisti come Enrico Donati, uno degli ultimi surrealisti italiani, e Lucio Fontana nei suoi primi lavori, esplorarono il sogno e l’irrazionale, sebbene poi si dirigessero verso altre sperimentazioni, quest’ultimo di tipo spazialista. In ambito più dichiaratamente surrealista si distingue Antonio Donghi, con il suo realismo magico sospeso e inquieto tra atmosfere ambigue e luci irreali.

L’Italia, terra di classicismo e misura, ha accolto il surrealismo più come fermento poetico e letterario (basti pensare a Dino Buzzati e al suo straniante “Deserto dei Tartari”) che come movimento compatto, ma proprio per questo l’impatto di un artista come Dalí risulta ancora più dirompente.

Arte e psiche
Non è un caso che il titolo della mostra richiami esplicitamente la dimensione psicologica. Salvador Dalí fu profondamente influenzato dalle teorie di Sigmund Freud, che conobbe personalmente nel 1938. Per lui, ogni sogno era una verità nascosta, e ogni immagine – anche la più bizzarra – un simbolo rivelatore.

L’acquaforte Psicoanalisi: Freud, in mostra a Vieste, rappresenta proprio questo incontro tra arte e scienza della mente, tra immaginario e analisi.

Ogni opera sembra affondare in un fondo oscuro: il tempo, il desiderio, la religione, la morte, la doppia identità, il sesso, la paura. Tutto torna, tutto si confonde, tutto si rivela. È come se l’artista avesse costruito, opera dopo opera, una mappa del subconscio collettivo.

Un percorso immersivo
L’allestimento delle tre sale è sobrio e ben calibrato: le luci disegnano chiaroscuri che valorizzano le opere, mentre la puntuale e discreta didascalizzazione permette al visitatore di confrontarsi direttamente con le immagini. In alcuni casi, si resta in silenzio non per mancanza di parole, ma per rispetto di un’esperienza che tocca corde profonde. L’ex Convento di San Francesco si rivela un luogo espositivo ideale: la sua atmosfera raccolta, lontana dai circuiti delle grandi città d’arte, contribuisce a rendere la visita più intima, quasi meditativa.

Una mostra che lascia il segno
Nella mente del Maestro non è una semplice retrospettiva. È una finestra aperta su un modo di intendere l’arte come esplorazione dell’invisibile. In un’epoca dominata dalla velocità, dalla chiarezza e dalla semplificazione, Salvador Dalí ci ricorda che la complessità è fertile, che l’ambiguità è creativa, che il sogno può essere più vero del reale.
E uscire dalla mostra con più domande che risposte non è un limite. È, anzi, la più daliniana delle conclusioni.

La mostra, a cura di Giuseppe Benvenuto, è visitabile fino al 31 agosto, dalle 18:30 alle 23:30.
 

di Roberto Valeri

28/07/2025

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