Un "Teorema" politicamente scorretto (forse)

Ascoli Piceno - Alla Notte Bianca di Borgo Solestà, ad Ascoli Piceno, il cantautore Marco Ferradini riflette sulla sua canzone più famosa: "Negli Anni Ottanta, eravamo più liberi".

"Mamma, ho perso il politicamente corretto". Viene in mente la parafrasi di un famoso film, quando ragioniamo sulla "deriva woke" in atto, capace di investire anche i cartoni animati, i romanzi, la poesia. Invece di ragionare sul contesto storico in cui quelle pellicole sono state girate (e quei capolavori scritti) si pensa a "coprire", modificare, forse un giorno arriverà la censura. Può partire da qui la riflessione che, alla Notte Bianca di Borgo Solestà, ad Ascoli Piceno, Marco Ferradini ha sviluppato sotto l'incalzante serie di domande della collega di Logos Notizie, Alessandra Addari.

"Teorema" è stato nel 1981, ed è ancora oggi, il mantra degli uomini delusi, colpiti al cuore da un rifiuto che non si aspettano, perché incapaci di essere rapaci, cattivi, aggressivi a letto e indifferenti un secondo dopo, costretti nel ruolo di amanti traditi (o non corrisposti) a causa della loro natura gentile, attenta, protettiva (asfissiante ?) e, soprattutto, non modificabile.

Sembrerebbe questa, proprio alla luce di una rilettura complessiva del passato con gli occhi del presente, una canzone invecchiata male: "prendi una donna, trattala male", "dosa amore e crudeltà", "cerca di essere un tenero amante, ma fuori dal letto nessuna pietà". Però non lo è affatto, il suo successo ne è la prova.

D'altro canto, la riduzione a puro oggetto di desiderio della donna è secondo la quasi totalità di psicologi, sociologi e criminologi, il punto di partenza di quella violenza di genere che può culminare nel femminicidio: il "teorema perverso" in base al quale se l'uomo non può possedere la sua donna, nessun altro potrà farlo, ha già portato a 40 femminicidi accertati a giugno 2025 e a 29 tentativi. 

"La canzone mia e di Herbert Pagani - ha dichiarato Marco Ferradini alla giornalista di Logos Notizie - vuole ancora adesso aiutare gli uomini a elaborare l'abbandono, perché un uomo rifiutato da una donna non sempre reagisce in maniera corretta. E' come se considerasse la donna un oggetto, una sua proprietà. Questa è una mentalità che degrada l'uomo, il quale non sa gestire la sofferenza. Noi possediamo solo...noi stessi".

Ferradini svicola quando Alessandra Addari gli chiede, con uno slancio da "rotocalco rosa", se quella donna, quella di cui il cantautore parla, si è mai rifatta viva però, implicitamente, torna sul concetto dell'uomo vincente, cioè cattivo il giusto: "Non bisogna mai essere zerbini, mai far capire che si vive per un'altra, perché sennò viene meno il rispetto".

Torna, dunque, il tormentone del "trattala male" ma, in un contesto di analisi sociale, non è tanto l'aspetto relazionale ad essere interessante, quanto la precisazione di Ferradini, stimolato dalla sempre più pressante giornalista sulla questione della compatibilità del testo con l'attuale sensibilità dell'opinione pubblica: "All'epoca, noi eravamo più liberi. Oggi, il politicamente corretto è come fare due passi avanti e uno indietro, dire che da oggi tutti gli uomini devono essere in una determinata maniera non porta da nessuna parte".

I cantautori, si sa, spesso "fiutano l'aria" e Ferradini colpisce esattamente nel segno: la questione non è rivisitare i testi delle canzoni o modificare un cartone animato affinché la Bella Addormentata si svegli da sola, autonoma e affetta da misandria cronica. La fine dell'epoca della "donna oggetto", discriminata perché pagata meno dei colleghi sul posto di lavoro, vittima silente di apprezzamenti triviali e, quando succede l'irreparabile, vittima della violenza del proprio compagno o di qualcuno di cui si fida (e al quale, infatti, di solito apre la porta o con il quale va al cosiddetto ultimo appuntamento) passa per una rivoluzione copernicana culturale.

Partiamo dall'educazione: insegnare sin dalla scuola il rispetto del corpo, la parità di genere e il consenso. Poi, lavoriamo su figure femminili indipendenti, forti, lungimiranti, lontane dagli stereotipi dell’oggetto e capaci di capire quando stanno per essere catalogate in questa maniera. Potenziamo i centri antiviolenza, le linee d’aiuto, la formazione delle forze dell’ordine e degli operatori sociali per identificare anticipatamente i segnali di escalation. Promuoviamo il riconoscimento del corpo come spazio di autonomia e diritto, non come proprietà privata.

Fatto questo (in decenni, non in anni) lasciamo però libertà di pensiero, lasciamo cioè che si possa tranquillamente pensare che la parte giusta del Teorema sia la prima (e siamo in tanti) e non l'altra (che non ci sono regole in amore, poi chissà com'è vincono sempre "i duri"...).

E speriamo, davvero, che nel momento in cui Otello dice a Desdemona «Non posso fermarmi. Devi morire!» non sbuchi dal nulla il commissario Montalbano ad arrestarlo. Perché il senso di quell'opera è che si tratta di un dramma sulla potenza, che la parola ha, di uccidere. E così vale per tutta la produzione letteraria e poetica mondiale, calata in un contesto e da quest'ultimo non estrapolabile a piacere. Lavoriamo sulle parole degli uomini di oggi.



 

di Roberto Valeri

25/06/2025

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